La storia di San Polino

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È possibile che il podere di San Polino sia stato fondato già nel X secolo, dopo le invasioni barbariche che avevano costretto gli abitanti della città etrusca di Roselle a cercare rifugio nelle aree protette della ricca e potente abbazia di Sant’Antimo.

Con ogni probabilità fu in questo periodo che vennero piantate le prime vigne sulle fertili pendici di San Polino.

Nel 1581 il podere di San Polino fu registrato come una delle proprietà dell’ospedale di Montalcino, Santa Maria della Croce, ed è qui che troviamo la prima menzione esplicita della vigna:

«…il podere di San Polino, con la sua casa, i campi lavorati e i boschi, ha una vigna e vi sono, in questo podere, sei olivi…» (testo originale del 1581).

Dal punto di vista architettonico, la casa è rimasta praticamente invariata, sia all’interno che all’esterno. Ai margini del bosco si trovano ancora i resti dei vecchi forni, così come l’antica fonte, dove un tempo si lavavano i panni e si prendeva l’acqua per irrigare i campi.

Oggi, i sei olivi menzionati nei registri dell’ospedale nel 1581 svettano ancora fieri davanti alla casa e continuano a produrre le olive con cui realizziamo il nostro olio extravergine di oliva San Polino.

Nel settembre del 1989 Katia visitò per la prima volta San Polino. Scendendo lungo una strada sterrata con il piccolo Daniel in grembo, fu subito colpita da una sensazione di riconoscimento. Così descrive il suo innamoramento per San Polino:

«Davanti a noi si aprì la vista più spettacolare. La piccola strada sterrata scendeva tra due campi incolti e cespugliosi. Sotto di noi scintillava una dolce e gloriosa distesa di colline, come onde di marea che si fondevano con il Monte Amiata, chiaro e dorato nella luce del pomeriggio. Poi vedemmo la casa, proprio lì, come la vediamo ora, ma senza il giardino che la circonda, invasa dalla vegetazione, un groviglio di rovi e tralci che coprivano i gradini d’ingresso. E un profumo inebriante, dolce, muschiato, ammaliante. Fu come tornare a casa.

Sedotta da una vista straordinariamente bella e allo stesso tempo intima sulla valle, e dalla solida presenza di quella casa antica, confortevole ma abbandonata, amata e incastonata nella sua atmosfera sensuale. In quell’istante seppi, e lo ricorderò per sempre: posso farlo. Questa è casa.

Quella sera presi la nostra malandata Fiat 127 rossa per andare alla stazione di Buonconvento a prendere Gigi. Con Daniel sistemato nel seggiolino sul sedile posteriore e Gigi accanto a me, guidammo verso San Polino. Arrivammo intorno alle otto di sera, poco prima che facesse buio. L’intenso profumo dell’elicriso sprigionava la sua magia e lui vide ciò che avevo visto io. Ebbe quella tipica espressione di entusiasmo di Gigi. Era fatta.»

Quando Luigi Fabbro e Katia Nussbaum acquistarono San Polino l’anno successivo, la tenuta era ormai da tempo abbandonata. Il casale non aveva elettricità né acqua corrente e i terreni erano invasi dalla vegetazione, ma mai toccati dall’agricoltura industriale. Quello che trovarono era un ambiente aspro ma incontaminato: fitto di rovi, con olivi e circondato da boschi intatti.

Luigi portava con sé un modo particolare di guardare al mondo, in parte plasmato dal tempo trascorso nella foresta amazzonica, dove aveva condotto ricerche sulla biodiversità e studiato i sistemi di permacultura delle comunità indigene, capaci di rigenerare la fertilità del suolo attraverso il compostaggio e una profonda integrazione ecologica. La filosofia alla base di queste pratiche divenne parte integrante dell’identità di San Polino, guidandone i primi passi e orientando l’approccio agricolo fino a oggi.

I primi passi furono lenti e manuali. Con i figli piccoli al fianco iniziarono a produrre olio d’oliva. Nel 1998 piantarono i primi 300 filari di Sangiovese e nel 2001 arrivò la prima annata di Brunello di Montalcino. Quel vino d’esordio ricevette riconoscimenti internazionali, vincendo numerosi premi e assicurando a San Polino un posto accanto ai produttori più celebrati della regione. Da quel momento, San Polino era ufficialmente sulla mappa.

Nulla di tutto questo lavoro fu fatto in isolamento. Katia e Luigi attinsero profondamente alle tradizioni di Montalcino e al sapere dei vicini. I loro figli, Daniel e Giulio, crebbero tra le vigne, insieme ad Avni (Alberto Gjilaska), arrivato inizialmente per dare una mano temporaneamente e poi rimasto per sempre – senza di lui San Polino, così com’è oggi, non sarebbe stato possibile. I fratelli di Avni, Mariano e Altin, fanno parte integrante di San Polino da oltre vent’anni.

San Polino oggi è una piccola realtà indipendente e a conduzione familiare. Con soli 9 ettari e mezzo di vigneti (5 dei quali iscritti a Brunello di Montalcino), incastonati tra oliveti, siepi e vasti boschi, la tenuta resta fedele ai principi che l’hanno guidata fin dall’inizio.

Il lavoro è ancora svolto a mano, con interventi minimi sia in vigna che in cantina. È ancora in uso un trattore Massey Ferguson del 1952, un tempo orgoglio del padre di Luigi.

Il casale rimane il cuore di San Polino: libri accatastati ovunque, la cucina animata da cibo e conversazioni, le pareti intrise di storie. Al piano superiore vive la famiglia; al piano terra, in cantina, il vino prende forma silenziosamente.

La terra, come la filosofia che la ispira, è viva: cambia con le stagioni, risponde a ogni annata e insegna a chi se ne prende cura. I vini riflettono tutto questo: complessi, radicati, espressivi. Portano con sé il passato, il luogo e le persone che lo chiamano casa.

Radicato nel cambiamento, il racconto di San Polino è una storia di continuità e trasformazione, di un luogo antico rinnovato attraverso visione, rispetto e consapevolezza ecologica.

Il nostro logo di San Polino è la replica di un simbolo solare etrusco ritrovato su una fibbia ornamentale di bronzo risalente all’800 a.C. La fibbia, grande e ovale, copriva il basso ventre di una donna nobile o di una sacerdotessa.

Gli Etruschi veneravano la dea del sole, il cui nome era Catha. Su questa particolare fibbia il sole è raffigurato mentre viene trainato attraverso l’oceano su un carro da un uccello acquatico, probabilmente un ibis, verso oriente, verso la sua dimora, per poi risorgere ancora una volta all’alba.

Abbiamo scelto questo simbolo per la sua bellezza, per la magia di utilizzare un’immagine creata da un artista locale quasi 3000 anni fa, e perché la forza e il movimento del sole sono per noi, oggi a San Polino, importanti quanto lo erano per coloro che un tempo lo veneravano.